L’arte del Fioretti è in continua evoluzione; ogni olio, ogni disegno non sono che delle parole di un discorso che scaturisce da precise scelte sociali, culturali e politiche.
Il tema costante dell’artista civitanovese è ora la figura e più precisamente l’uomo con tutti i suoi problemi, drammi, situazioni continuamente differenti e in contrasto tra loro, pur essendo simili in apparenza. Il tutto detto con un linguaggio puro, netto, senza esitazioni o tentennamenti.
Fioretti descrive la realtà che lo circonda, così come lui la sente, al di fuori di ogni rigido schematismo di corrente, riuscendo a cogliere intuitivamente e senza cerebralismi l’essenza e la forza della vita.
Le sue figure, i cui volti non sono volti ma semplici volumi cioè impossibilitati ad esprimere sensazioni o idee, vengono poste in uno spazio indefinito e indefinibile pur rimanendo sostanzialmente spazio limitato, vivono secondo delle rigide regole che la società impone.
Così anche le mani, non possono dire ciò che vogliono, a che aspirano, cosa cercano: sono delle forme chiuse, quasi dei pugni, che sottolinenano una triste condizione umana.
Questa tematica viene oggettivata dal Fioretti attraverso un segno vibrante ed inquieto, pieno di tensione.
Ad osservare i suoi disegni si direbbe che la penna, guidata intuitivamente da una forte mano, lasci cadere in punti precisi un fiume di inchiostro, mentre altrove, quasi a far passare inosservati alcuni particolari, diventa sottile o si perde addirittura.
Delle macchie di colore vengono stese sulle figure, senza materializzarle, i piani di colore si sovrappongono, si intersecano e si completano creando volumi carichi di nervosi equilibri.
Questa vibrante tensione, piena di lirismo, altro non è che la proiezione di più intime sensazioni, di momenti della vita colti in un continuo divenire.
Se l’arte è solo ciò che è epifania del nostro io interiore, allora dobbiamo convenire che la pittura di Nicola Fioretti è veramente arte.
Farse di non facile lettura ad un primo contatto, sì rivela all’osservatore attento ricca di significati profondi e reconditi, spontanea nel suo genere, viva ed immediata nella composizione e nel colore.
Fioretti predilige dipingere figure umane e nella raffigurazione congeniale al suo spirito; egli ama adombrarle lasciando a chi osserva completare l’opera di composizione di trasfigurazione della realtà sulla tela ed è attraverso questa ricomposizione ideale che l’artista ci riconduce al sottile piacere psicologico di una interpretazione personale. Quanti significati si celano in quelle rappresentazioni di gruppi familiari uniti in una simbiosi necessaria e inscindibile ma senza che i bimbi ci rivelino il sorriso della fanciullezza; o il patos del veglilardo nella raffigurazione tormentata di chi ha vissuto esperienze tremende.
E che dire dell’aspetto mistico dell’arte di Fioretti, che molto saggiamente rifugge dagli atteggiamenti forzati e innaturali di tanta iconografia ecclesiastica a vantaggio di una interpretazione immediata e sincera che, lungi dal distrarre, induce a considerare attentamente il significato più recondito di quelle immagini.
Un accenno anche all’aspetto cromatico della pittura, ai felici accostamenti anche dei colori più ostici ed ai crescendo di tonalità piacevoli ed espressivi ad un tempo. L’artista ci rivela pure il conflitto immanente fra idea e realtà, fra momento razionale ed irrazionale nella poetica dell’arte ma, nell’affrontare l’assunto tematico, pone le basi di un preciso impegno creativo.
La figura, trattata ad olio, a tempera o ad acquerello è il tema dominante nelle opere di Fioretti.
Ma se quasi unica è la fonte di ispirazione, la realizzazione è originale e con tecnica personale.
Fondi scuri sui quali i colori accesi (blu, rossi, verdi) intersecati da linee ancora scure creano, con particolari effetti tonali, figure di una rara potenza espressiva che sembrano, più che dipinte nella tela, scolpite nel colore.
Nel caso di Fioretti ha notevole importanza la componente cromatica portata ad esplorazioni continue, a volte suggestive, a volte frenate che tuttavia denotano indici di maturità e di equilibrio, in un artista il quale, per certe infiorescenze liriche, trasforma le sue tele in pagine aperte di limpide poesie.
In fin dei conti non si ha che la propria personalità ed essa è un sole che ha mille raggi nel ventre.
Il resto non è nulla» (Picasso).
Pur muovendosi entro i limiti di un astrattismo contenuto, Nicola Fioretti non ha abbandonato completamente il figurativo, per cui, sempre partendo da quella che è la sensazione visiva, si trova alle soglie di un’arte tesa, nei soli aspetti espressionisti e geometrici, a stabilire le proprie basi estetiche non solo nella teoria ma anche nella pratica. «Vi è un solo centro incandescente di energia ed ognuno dei raggi che ne parte rappresenta un aspetto diverso dal proprio stile.
Non sempre questi mille raggi si distinguono chiaramente tra loro, si fondono l’un l’altro avvicinandosi alla fonte incandescente e solo gli aspetti più evidenti, cioè quelli che sì trovano più lontani dal centro, possono essere separati e denominati».
Fioretti non pare assolutamente fermarsi ad una facile denominazione degli aspetti più semplici; segue un metodo preciso che gli permetta di superare una conoscenza relativa in virtù di una assoluta, praticamente operando il passaggio dall’esterno all’interno della cosa.
Seguendo questa direttiva elimina l’apparenza materiale della forma e del calore affidando alla prima il significato interiore e l’intensità agli armonici rapporti del colore, mentre raggiunge sempre un equilibrio ed una disposizione sistematica delle parti mediante la coordinazione sensibile dei piani che costituiscono il dipinto.
Possiamo allora parlare anche della natura essenzialmente intuitiva della sua attività creatrice e degli impulsi lirici ancora collegati all’ispirazione che non prescindono dalle regole della geometria, racchiudono tutto il sentire interiore di Fioretti.
Struggimento di fondo, sostanziale, diremo quasi connaturato nell’artista, affiorante come ingorgo di fattori polivalenti, necessità e aspirazioni segrete.
Principalmente si tratta del desiderio di essere libero senza perdere il contatto con la realtà, al tempo stesso svincolandosi dagli aspetti ormai scontati dell’esistenza, Fioretti sì affaccia ad un mondo al quale partecipa interamente ma del quale ama dare sensazioni e significati personali.
E’ nell’artista soprattutto la coscienza dei trascorrere del tempo, dell’affievolirsi della ricerca di se stessi e della acquiescenza graduale alle proprie condizioni.
Certezza che egli varrebbe evitare nella realtà alla quale non ha la minima idea di soggiacere ma che brucia costantemente scavando nel profondo dell’anima.
Tra l’altro, per contrasto all’apparenza raffigurata, troviamo colori sferzanti, linee che sezionano il piano d’espansione come incisioni o dolorosi intagli e un’analisi minuziosa portata fino all’assorbimento totale del fattore mnemonico ed evocativo.
Segue poi la strutturazione completa dell’opera: l’intersecarsi di linee dure con altre simboleggianti evenienze passate, presenti e future. Il tono non può essere stanco, non esistono motivazioni di spiritualità forzata, frustrazioni psicologiche, abdicazioni.
La realtà non è attesa, ma presente, un presente conglobante le più svariate sensazioni, che rende possibile una pittura non identificabile con nessun altra espressione artistica.
Nessuno deve dimenticare che solo nelle più qualificate e meno superficiali espressioni dell’arte si riflettono quei valori essenziali di cui la nostra esistenza ha bisogno.
L’importante è porsi di fronte a questa problematica artistica in un atteggiamento di apertura e non di chiusura verso espressioni e di luoghi comuni derivati da una civiltà unidirezionale, impostata schematicamente secondo un solo senso del progresso, studiando quindi a fondo cosa ci dice e cercando di arrivare al suo nocciolo interno.
E’ il caso di Nicola Fioretti, ospite del «Prisma», in quelle sue figure senza volto, al limite dei l’interpretazione psicologica di che cosa le muova dall’interno della loro esistenza umana.
Questa non certo anodina constatazione vuole innanzitutto indirizzare l’occhio critico del pubblico verso constatazioni culturali più profonde.
Vale a dire qui ci troviamo di fronte ad un artista che opera in un’area personale, con modalità che apparentemente sono quelle di riconoscere la sua «verità» umana, la sua natura, la sua cultura, il suo stesso ambiente, forse.
Ed è la particolare declinazione del suo segno esteriore nelle persone umane, dall’artista interpretate a suo modo che fa risaltare questa inalienabile verità di contenuto artistico.
Naturalmente la tensione di questo complesso sottofondo psicologico è simbolica nella grafica di Fioretti ma è fluida, scorrevole su moduli di maniera, con risultati eccellenti, con un mordente stilistico notevole. Senza dubbio questi volti senza volto, riflettono la particolare carica emotiva di Fioretti, la sua interna inquietudine di arrivare a schemi umani che non siano gli usuali di ogni giorno, realizzando diverse soluzioni pittoriche, anche se di complessa animazione immaginativa o, per meglio dire, arrivando all’astrattismo informale dei volti.
Ma è la loro semplicità assoluta che ci convince, forse perché hanno del primitivo, dell’arcaico in chiave moderna, di cui però non è difficile scoprire i motivi di vita che in essi, nelle figure, sono già programmati.
Le forme circolare dei volti dunque sono nitide, regolarissime, e diventano così a guardarli un segno di una coerenza a quel fascino che essi sanno suscitare nell’offrire una forma semplicissima ed astratta se si vuole in questa dimostrazione senza arresti dei vari motivi umani che suscitano i misteri dei volti che non hanno la complessa qualità dell’immagine autentica ma che pare anzi che siano proprio illuminati da una loro luce interiore e solo quella. E tale in cui poi ogni sensazione fisica si dà che si perda nella dissolvenza di un tema pittorico immateriale e fantastico. Una geometria quindi che rispetta i rigori del purismo strutturale, le conseguenze che si diramano e che portano sulla tela le membrature ossute degli uomini e delle donne e che si depositano nel suo campo pittorico per suscitare una vibrazione di vita possibilmente trasparente e lineare allo scopo di poter dimostrare la modalità psicologica da interpretare nell’atteggiamento dei singoli. Da questa sorta di emblematismo strutturale del volto umano concludiamo, Fioretti ha saputo ricavare la versione maschile e femminile del ritratto che non sia dipendente dalle parole ma che avvii attenzione ad andare oltre il segno che li identifica in un traslato fortemente suggestivo, nel momento che come esseri parlanti e pensanti si avverte che l’idea della creazione si idealizza proprio nel mentre non debbono avere un volto, una sostanza materiale e che si abbandonano a confidenze di utilizzare l’ordinamento della realtà percettibili in un diverso gioco della visuale possessiva e delle motivazioni problematiche del carattere umano.
«Conoscere la sua pittura è come conoscere lui, Fioretti: si riceve la stessa impressione di genuina vocazione e di serena comunicatività, doti che sono comunque rare al giorno d’oggi sia tra gli uomini che tra gli artisti.
Parlando con Fioretti si notano subito due cose in lui: la modestia e la semplicità (altre doti rarissime) che lo governano nel rapporto con gli altri e gli forniscono il fondamento della sua ispirazione pittorica.
Perchè, (ed è proprioquesto il fulcro del discorso che andiamo facendo) i quadri di Fioretti prendono lo spunto da una idea base, sostanzialmente sempre la stessa, ma su quella si snoda una fitta rete di variazioni e di trasmutazioni sulla quale si impernia tutta la conquista stilistica del pittore il quale, oggi, si vede a buon diritto apprezzato e ricercato da amatori e da collezionisti».
Nel processo di sviluppo che interessa l’arte figurativa di oggi, stiamo forse per toccare una fase nella quale l’artista deve impegnarsi a fondo per dimostrare i limiti della propria personalità.
Il nuovo linguaggio tecnico che sì è creato nel consapevole distacco dalla realtà, pone l’artista di fronte alla precisa responsabilità che ne sa rivelare e determinare i traguardi raggiunti.
Questo preambolo si attaglia appieno al pittore Nicola Fioretti, di Civitanova Marche.
Partito in sordina, quasi con la preconcetta paura di recare disturbo, egli si è gradatamente e valorosamente inserito tra le più belle realtà dell’arte marchigiana.
Dalla prima, timida mostra personale di qualche anno fa, fino alle più recenti e importanti, tenute in molte città d’Italia, il discorso pittorico del giovane civitanovese si è andato notevolmente affinando, tanto da interessare critici qualificati e amatori d’arte.
La sua espressione artistica si distacca da tutte le complessioni cerebraloidi e distorte che purtroppo imperano in questo secolo di inflazioniamo pseudo artistico, fatto di abbondanti « ismi », ma di scarsa consistenza emotiva.
Nicola Fioretti ha orientato il suo credo in qualcosa di più poetico e razionale; si potrebbe affermare che è un tratto di continuità tra la pittura tradizionale figurativa e certe figurazioni moderniste del nostro tempo, ma sempre aderenti al più rigoroso equilibrio formale, libere da ogni preconcetto geometrismo e ribelli ad ogni concezione programmata, riuscendo a mettere nel dovuto risalto aspetti che non possono passare inosservati agli occhi del visitatore.
Emozioni di luce e di colori si fondono armonicamente, toccando momenti dove poesia e lirismo si compenetrano in una organica visione di sentimenti e realtà.
Nella produzione pittorica di Nicola Fioretti, per concludere, va rimarcato il coincidere del senso della tradizione col senso del nostro tempo, coincidenza felice che, come dicevamo pocanzi, caratterizza un equilibrio felicemente raggiunto ed una sicura, meritata base per i futuri successi.
“… figure senza volto, solitarie o raccolte in un unico campo figurativo, dalle larghe campiture di colore o martoriate da veementi reticoli di segno: questa l’inconfondibile cifra pittorica di Fioretti.
La sua regola è 1a tenacia nella coerenza di un discorso che vuole essere innanzitutto comunicazione di se nello sforzo d’interpretare il senso drammatico della realtà in cui viviamo e di cui patiamo i segni in termini di alienazione e di violenza. l’indubbia forza espressiva del linguaggio e l’esplicito riferimento ai significati dell’esistenza hanno provocato intorno al lavoro di Fioretti l’interesse di molti qualificati esperti d’arte ed un vasto consenso di pubblico.
Si tratta di una pittura estremamente caratterizzata ed affatto compiacente, che può anche lasciare perplessi, ma mai indifferenti gli osservatori”.
Nei quadri di Nicola Fioretti frammenti di colori e poesia Il dialogo è stato sereno e interessante.
“Ho realizzato un mio sito web (www.nicolafioretti.it) – mi ha detto recentemente Nicola Fioretti – è sarei contento che tu, conoscendomi da tanti anni e scritto una serie di articoli, mi dedicassi un ricordo”.
Come non dirsi subito disposti a svolgere questo compito e anche in questo caso il cronista, qual io sono, si è attrezzato per ricucire quei tanti ricordi che lo legano a questo pittore, che ha sempre apprezzato per la mitezza con cui si porge e la profonda serietà che anima la sua pittura. In questi casi si cade inevitabilmente in quella che può apparire retorica, ma il cronista ha un certo vantaggio nel fatto che non deve cercare una spiegazione tecnica che sta alla base di ogni opera artistica, e quindi colorare la sua esposizione, un mestiere che i critici fanno molto bene, ma cogliere le emozioni che ogni quadro suscita e che il più delle volte sta alla base di quel forte legame affettivo che si crea fra opera e fruitore.
Dire che Nicola Fioretti ha caratterizzato questi ultimi quarant’anni della vita pittorica della “sua” Civitanova Marche, non è un’esagerazione. Ha prodotto tanto, ma si è sempre mosso in “punta di piedi” cercando il più delle volte i riconoscimenti più importanti fuori della sua città e la nutrita serie di rassegne, che è possibile cogliere in questo prezioso mezzo informatico, ne è la riprova. Una pittura asciutta, che non indulge nel frivolo, che traccia con forza momenti di vita nei quali si può sempre cogliere frammenti di colori e poesia.
Un cubismo figurativo, direbbero chi ha dimestichezza nel definire il tratto principale delle produzione pittorica di un autore, ma non è difficile non accogliere questa definizione in quanto Nicola Fioretti ha un modo di dipingere che lascia spazi all’immaginazione: i volti non sono mai definiti, i movimenti sono essenziali, ma il racconto è facilmente intuibile e anche nei lavori più significativi come nella “Deposizione” o nelle serie dedicata al “ballo” si avverte proprio il messaggio che l’autore ha voluto trasmettere nelle sue tele.
Molto misurato nella vita di ogni giorno, Fioretti è un attento osservatore della vita con la quale quotidianamente viene a contatto, senza mai indulgere in atteggiamenti critici, ma con estrema disponibilità e comprensione come le sue tante opere dimostrano e che fanno parte di quella straordinaria galleria di opere che hanno contraddistinto la sua bella e interessante vita di artista.
Per Fioretti la pittura oltre studio, incanto di poesia, bisogno interiore di esprimersi, di raccontare per immagini, è qualcosa che ha nella pelle come se facesse parte di se stesso, come gli occhi, le mani anzi il respiro.
Per Fioretti dipingere è vivere, accompagnare i giorni, tenere il suo posto di lotta, nutrirsi della sua parte di poesia e offrirla agli altri. E’ sopratutto pittore di figure. Entra nella realtà ma sapendo bene che questa non si esprime nei segni apparenti, nel ritrarla staticamente, nel forzarla senza cioè vederla in movimento e perciò senza che i suoi volti di uomini e donne abbiamo dentro i loro segreti e il loro fiato, le loro desolazioni e le loro esaltazioni.
Senza che i suoi bambini che sembrano sempre formar in un unico impasto di colori con la madre con il padre, non abbiamo quella tenerezza che è tutta dell’infanzia, l’innocenza, il sorriso, il domani del mondo. Da certo cubismo. da certe libere geometrie in cui i colori si esaltano scandendo diretti, certi rossi e blu attraversati da certe linee nere e bianche quasi a dimostrare che per essere uomini bisogna sempre saper uscire dal labirinto.
E le figure sole, il vecchio attorcigliato su se stesso come il tronco di un albero che ha patito tante tempeste resistendo, attendendo i tramonti corruschi com’è il colore del suo volto, del suo corpo, delle sue braccia, delle sue mani, oppure la famiglia con la delicatezza di quei verdi e bianchi che sono diversi da tutti gli altri colori perchè il loro impasto è amalgama e il verde è carne tenerissima fusa con il colore del risvolto della foglia senza più splendore ma come fatta di linfa e così il bianco ha il colore del ventre delle rondini e si estenua come il polline nel cuore delle margherite.
Al di là delle scuole degli errori di foga dell’abbandonarsi per continuare a riempire tele su tele, Fioretti ha già un suo linguaggio, una sua voce. Io l’ho sentita emozionandomi e, siccome non sono un critico ne’ un addetto addetto ai lavori, penso che sia un emozione che tocchi ognuno che riesce a ritrovarsi nelle sue figure e nei suoi colori.
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